Fashion Downcast: La Moda Va In Depressione
- Massimo Porcelli
- 5 mar
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 2 giorni fa

New York, Londra, Milano, Parigi: ecco le fashion week più importanti che due volte l'anno ossessionano i nostri pensieri. Da bravi osservatori vediamo in streaming tutte (o quasi) le sfilate con la pia illusione di trovare ispirazione, individuare tendenze, intercettare novità.
La Spring Summer ’25 approda a Milano e l’entusiasmo lascia il posto alla frustrazione perché, passerella dopo passerella, le novità sono sempre meno, le tendenze durano un istante e l’ispirazione tentenna. La moda è andata in depressione: poche idee, ancor meno creatività, molta fuffa, troppo marketing.
La notizia più cool della NYFW appena conclusa è stata la manifestazione “I am a voter” capeggiata da Anna Wintour che, top models al seguito e megafono alla bocca, intimava di andare alle urne il prossimo novembre. Apprezzabile ma un po’ fuori contesto.
Perché invece non organizziamo una maestosa, fastosa, indimenticabile fashion week globale che risollevi l’umore della moda, magari con tanti stilisti emergenti, con una reale attenzione alla sostenibilità, con abiti che abbiano senso e facciano sognare?
Tutto passa, ma il fashion downcast è ancora qui e non fa certo bene all’industria, ai creativi, agli appassionati e a quelli che, come noi, vedendo una sfilata vorrebbero esultare e non sbadigliare.

Diamo La Parola Ai "Fashion Correspondent"
Una sfilata che si rispetti deve avere la sua dose di VIP, celebrity, starlet e fashion correspondent che un tempo si chiamavano “giornaliste di moda” e oggi sono per lo più trentenni da milioni di follower che parlano di fashion sui social e che, a colpi di post, si stanno costruendo una fama e una audience alla Vanessa Friedman o Tim Blanks.
La maggior parte di loro vede in streaming le sfilate e le recensisce in lunghi e dettagliatissimi video online. Piacciono perché parlano del bello e anche del brutto che sfila in passerella. Tutto con estrema libertà, imparzialità e totale sincerità: senza timore di offendere e senza paura di mettere a repentaglio i budget pubblicitari che fanno sopravvivere le riviste.
I “veri” giornalisti hanno l’esperienza, i contatti, lo stile e una testata cui rendere conto. I fashion correspondent sui social sono liberi, appassionati e molto scaltri: sanno bene che una battuta al vetriolo aumenta i like e loro sono abilissimi a fare a pezzetti lo stilista di turno.
I grandi brand se ne sono accorti e hanno cominciato a invitarli nella speranza di farseli amici. E intanto tutti parlano, parlano mentre la moda langue, esausta di tanto baccano, evidentemente depressa e in speranzosa attesa di tempi migliori.
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