top of page

La Cucina Italiana E' Patrimonio Dell’Umanità. Buon Appetito A Tutti.

ree

Dalla candidatura al sì unanime dell’Unesco: la nostra cucina entra nella storia come sistema culturale complessivo. Un riconoscimento che arriva nel momento migliore: quello delle feste.


Che bello quando la notizia giusta arriva al momento giusto. Proprio mentre entriamo in quel periodo dell’anno in cui cucineremo troppo, mangeremo troppo e diremo troppo spesso “vabbè, è Natale”, l’Unesco ci comunica che la Cucina Italiana è ufficialmente Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Tempismo perfetto e ottima scusa per trangugiare fino all’ultima briciola di panettone, pandoro, panforte e pangiallo tanto ormai… sono nell’Unesco.


Tutto inizia nel 2023 quando il governo italiano, su impulso congiunto dei Ministeri della Cultura e dell’Agricoltura, deposita il dossier “La cucina italiana, tra sostenibilità e diversità bioculturale” per l’iscrizione nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Immateriale dell’Unesco. La storica rivista La Cucina Italiana, insieme all’Accademia Italiana della Cucina e alla Fondazione Casa Artusi, da subito accompagnano e sostengono il progetto che vuole raccontare la nostra enogastronomia non come elenco di piatti, ma come un sistema culturale vivente di pratiche, gesti e significati condivisi.


La candidatura arriva a Parigi, nella centralissima Place de Fontenoy, dove ha sede l’Unesco che, va ricordato, è L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. Nata nel 1945, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, si fonda sull’idea (molto idealista, molto necessaria) che la pace si costruisca prima di tutto attraverso il dialogo e lo scambio tra i popoli. Fino ad oggi l’Unesco ha stilato una lista ufficiale di quasi 1.300 siti culturali, naturali e misti riconosciuti per il loro valore universale: castelli, palazzi, borghi, siti archeologici, paesaggi naturali e altro ancora, sparsi in 170 Nazioni.

 

E, ancora, quasi 800 sono gli “elementi” ritenuti patrimonio culturale immateriale, tra cui riti, saperi, tradizioni, pratiche culturali e via dicendo. L’Italia è in cima alla lista con ben 61 siti, seguita a ruota da Cina, Germania e Francia: numeri importanti per un elenco che viene continuamente aggiornato.


Parlando di cucina, sono già patrimonio immateriale dell’umanità la repas gastronomiqhe des Francais che non è “la cucina francese”, ma il rituale conviviale del pasto dei nostri cugini d’oltralpe; il washoku giapponese, che raccoglie le elaborate pratiche tradizionali dei pasti tradizionali; la dieta mediterraneaè un patrimonio immateriale condiviso e anche l’arte del pizzaiuolo è nell’elenco con i suoi gesti, la sua ritualità e la sua tecnica unica.


Ed eccoci al 10 dicembre scorso quando, a New Delhi, si è tenuta la 20ª sessione del Comitato Intergovernativo per la salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale che ha deciso all’unanimità di accettare la nostra candidatura. La cucina italiana è entrata  in toto  nelle Liste dell’UNESCO come sistema culturale complesso e complessivo.

 

Dal Nord al Sud, dai mari ai monti, dal caffè all’ammazzacaffè. E ovviamente non si parla solo di lasagne e tiramisù, la nostra cucina è sì, golosissima somma di magnifiche ricette, ma è anche quella capacità tutta nostra di aggiungere un posto a tavola e fare festa. Un patrimonio che il mondo ci invidia e che ci riempie di goloso orgoglio.


ree

Ma la cucina italiana esiste davvero?

 

Dicevamo prima che la notizia arriva al momento giusto anche perchè potrebbe finalmente dipanare l’insidiosa polemica che, ormai da qualche anno, mette il contrasto i nazionalisti e i regionalisti.

 

Nel loro bestseller La cucina italiana non esiste Alberto Grandi e Daniele Soffiati sferrano un attacco alla cucina nazionale che, a detta loro, nasce a fine Ottocento con gli emigrati italiani che, ritrovandosi oltreoceano a cucinare piatti tipici della loro terra, per primi diedero un’entità nazionale a pizza, pasta, braciole e ciambelloni. Prima dell’unificazione, nelle tante città stato, nei comuni, nei borghi che frammentavano il suolo italico si cucinavano piatti tutti diversi, tutti tradizionalmente legati al territorio. La pasta è l’Italia, ma a nord le tagliatelle si fanno con uova e farina, al sud per le orecchiette si usano acqua e semola. Una vita non basta per assaggiare tutti i salumi, i formaggi, gli olii, gli aceti, per non parlare dei vini. Per questo Grandi e Soffiati affermano che non abbia alcun senso ridurre tutto questo patrimonio al semplice appellativo di “Cucina Italiana”.


Di ben altro avviso è Massimo Montanari, il più importante studioso di storia dell’alimentazione in Italia, che nel suo interessantissimo L’identità Italiana in cucina, pur ribadendo le moltissime differenze, ci ricorda che uno stile culinario italiano esiste fin dal Medioevo, soprattutto nei mercati delle città dove le genti si incontravano e, gioco forza, condividevano ed elaboravano una cultura alimentare che cresceva e si espandeva.

“Si forma” osserva Montanari “un sentimento italiano, un'identità concreta e quotidiana, fatta di sapori, di prodotti, di gusti. L'unità politica del paese non fa che accelerare questo processo, allargandolo progressivamente a fasce più ampie della popolazione”. Un processo lento, lungo, inarrestabile e totalmente diverso da quello della Cucina Francese, nata sin da subito come cucina nazionale perché ha avuto per secoli uno Stato centrale forte, una corte, una capitale che decidevano gusti, mode e regole.

 

Chi ha ragione? Probabilmente entrambi. La cucina italiana non è un monolite. È una costellazione. Non è una lingua unica, ma una somma di dialetti che, miracolosamente, dialogano tra loro. Ed è proprio questo che l’Unesco ha riconosciuto: più che la cucina italiana, il modo in cui l’Italia cucina. Un modo di vivere il cibo come cultura, relazione, memoria.


Nei prossimi giorni ci divideremo tra fornelli e tavole imbandite, c’è chi andrà sul classico e chi proverà qualche sapore nuovo, ci dedicheremo con passione al ripieno dei tortellini, non perderemo d’occhio il brasato e aggiungeremo una scorza di limone in più nella crema pasticcera. I soliti gesti che giorno dopo giorno, Natale, Capodanno ed Epifania mantengono e tutelano non solo la nostra tradizione, ma anche un grande, saporito, colorato, profumato tesoro nazionale che, per primo, diventa patrimonio dell’umanità.

 
 
 

Commenti


bottom of page