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Il Nobel Per La LetteraturaE' Fuggito Col Suo Vincitore

Ringraziamo @modorls per le immagin
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Il caso Krasznahorkai e l'irresistibile voglia di NON vincere


E' tempo di Nobel e siamo alle solite: ogni anno, quando esce il vincitore per la Letteratura, il 90% delle persone reagisce con un sonoro “Chi?”. È ormai tradizione. Ci ostiniamo a credere che leggere renda liberi, ma poi il Premio più importante lo danno (quasi) sempre a qualcuno che nemmeno conosciamo.

Facciamo un sondaggio: quanti libri di Annie Ernaux avete letto prima del Nobel? E di Abdulrazak Gurnah? Beccati.

Ora tocca a László Krasznahorkai (leggi: Krasnorki), ungherese, classe 1954, definito “il maestro dell’apocalisse” non da noi, ma da Susan Sontag, e già siamo in soggezione.

 

Il 9 ottobre l’Accademia di Svezia ha premiato Krasznahorkai “per la sua opera avvincente e visionaria che, nel mezzo del terrore apocalittico, riafferma il potere dell’arte”. Ormai sappiamo bene quanto i dotti accademici adorino alzare l’asticella della qualità e superare il limite dello snobismo, scegliendo e premiando autori difficili, poco conosciuti, sfacciatamente di nicchia e che no, proprio non si leggono per prendere sonno.

Questa volta, però, a Stoccolma l’hanno combinata davvero grossa, perché il buon László ha reagito alla vittoria a modo suo: battendosela a gambe. Molto peggio di Bob Dylan, che nel 2016 si limitò, ombretta sdegnosa, a non ritirare il premio dicendo che... aveva altri impegni. Del caro László, invece, si sono perse le tracce.

 

Alla Fiera del Libro, che si è svolta la scorsa settimana a Francoforte (dove lo avrebbero celebrato come un re) Krasznahorkai non si è neanche fatto vedere. Puff. Scomparso. Irreperibile. Svanito nel nulla.

Alla conferenza stampa di apertura della Buchmesse non ha partecipato, avanzando un brutto raffreddore e qualche linea di febbre.


“Dove si è cacciato il romanziere apocalittico più corteggiato d’Europa?”, si chiede Raffaella De Santis nel suo articolo su La Repubblica. Alcuni giurano di averlo visto aggirarsi nei corridoi della fiera come un fantasma. Altri dicono che voglia smettere di scrivere, mentre il suo agente smentisce stizzito.

Come dire, cronaca di una fuga annunciata: se provate a leggere "Sátántangó" (1985), dal quale il regista Béla Tarr ha tratto un film in bianco e nero di ben 435 minuti, vi troverete dentro frasi lunghe 12 pagine, senza paragrafi, senza pause. Un incubo? Forse. Ma anche un affascinante labirinto dove perdersi e – chissà – ritrovarsi. La sua scrittura è fluida come lava: flussi continui, punteggiatura minima, dialoghi incastonati in monologhi teologici, grottesco e apocalittico che si rincorrono in paesaggi dell’Est post-comunista. Insomma, uno che potrebbe tranquillamente scrivere a quattro mani con James Joyce.

Krasznahorkai è ormai uno di quegli autori di culto che si leggono con la matita in mano e il dizionario sul comodino. D’altra parte i suoi titoli parlano chiaro: “Melancolia della resistenza” (1989), “Guerra e guerra” (1999), “Panino non c’è più” (di prossima pubblicazione in Italia) che sembra una battuta del Mago Forest.

Odia la politica, evita i giornalisti e anche il successo. Melania Mazzucco racconta che è un autore che ha riscritto lo stesso libro più e più volte perché non era mai abbastanza. Avrebbe voluto intitolare la sua quadrilogia “Sconfitta”, sottotitolo "Manicomio come rifugio”. Serve aggiungere altro?

 

Intanto l’effetto Nobel ha fatto scattare le ristampe in tutta Europa. In Italia ci pensa Bompiani, che ripubblica le sue opere in 100.000 copie, mentre in Ungheria sta per arrivare il nuovo “La sicurezza della nazione ungherese”. Il protagonista? Un lepidotterologo che cerca risposte sull’esistenza osservando farfalle.

E intanto tutti a rincorrerlo: editori, giornalisti, fan, forse pure qualche fotografo appostato tra le farfalle della Turingia. E chissà se alla cerimonia del 10 dicembre a Stoccolma ci sarà. Del resto, appena ricevuta la notizia del Nobel, ha esclamato: “È una catastrofe!”

 

Conclusione? Bella mossa, László. Ci hai ricordato che, prima di essere numeri nella classifica domenicale del più venduto, i libri sono mistero. E che gli scrittori — quelli veri — non si fanno mai prendere del tutto.

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