Il Cinema Italiano C'è, Ma Non Si Vede
- Massimo Porcelli
- 20 mag
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 27 mag

Vi è capitato di vedere in tv la premiazione dei David di Donatello? Beh, noi non l’avremmo persa per nulla al mondo ed è così che, spaparanzati sul divano, ci siamo preparati a scoprire (e commentare) i vincitori (e i vinti) dell’edizione numero settanta degli Oscar nostrani. Eppure, mentre la diretta andava avanti, abbiamo cominciato ad avvertire un senso di imbarazzo, di smarrimento: premio dopo premio, ci siamo resi conto che dei film in competizione ne conoscevano sì e no la metà e ne avevamo visti a dir tanto un terzo. Di alcuni, anzi di molti, non avevamo mai visto un trailer, né letto una recensione, addirittura non ne avevamo mai sentito parlare.
Campanello d’allarme, panico da FOMO (Fear Of Missing Out) ci siamo detti: ma come… noi, che ci sentiamo persone informate sui fatti, siamo invece così ignoranti? Che grave colpa non saper nulla di “Ciao Bambino” regia di Edgardo Pistone (candidato come miglior produzione) o esserci persi “Le Déluge – Gli ultimi giorni di Maria Antonietta” regia di Gianluca Jodice (vincitore per la miglior scenografia).
Abbiamo chiesto ad amici, parenti, conoscenti e anche loro cadevano dal pero. Abbiamo chiesto a quelli che lavorano nel cinema è ci hanno risposto “ma che non lo sai? In Italia si fanno un sacco di film, ma se ne vedono pochissimi…”.
Nel 2024 i nuovi titoli italiani di prima programmazione sono stati ben 431: un botto! Il più visto è “Il ragazzo dai pantaloni rosa” che ha battuto Sorrentino, Milani e Özpetek: tutti sopra ai 6 milioni di incasso. Detto questo, secondo Anica e Cinetel, i film italiani restano in sala circa 4 settimane se sono un successo, mentre la maggior parte sopravvive tra i 6 e i 12 giorni. Alcuni esalano l’ultimo respiro dopo un weekend. Moltissime pellicole non hanno trailer a supporto, non passano in tv, non invadono i social: zero hype, zero chiacchiericcio, zero storytelling. E se non esisti nei feed… non esisti al botteghino.
I ben informati ci dicono che ci sono delle “concause” (orribile parola): 1. Marketing debole o inesistente (molti film italiani non hanno un ufficio marketing e spesso si affidano solo alla promozione “di sistema” come festival e rassegne); 2. Distributori prudenti (temono il flop e optano per uscite brevi e mirate); 3. Esercenti “blockbuster addicted” (con poche sale, tutte sotto pressione, puntano su Marvel, Disney, sequel e animazioni). Eppoi ci sono le piattaforme, tanto chi va più al cinema? In sintesi: i film italiani durano pochissimo in sala non perché siano brutti, ma perché manca un ecosistema strutturato che li accompagni fino al pubblico e oltre.
Ma allora: produrre un film conviene? Come si regge in piedi l'industria cinematografica italiana? Domande fondamentali per una risposta breve: produrre un film in Italia può convenire, ma non grazie al botteghino. Il business si regge su un fragile ma sofisticato sistema di incentivi pubblici, coproduzioni internazionali e vendite alle piattaforme.
Sono pochi i film che guadagnano davvero al cinema, per la maggior parte, gli incassi in sala coprono solo una piccola parte del budget. Poi c’è il Ministero della Cultura che eroga contributi tramite il Tax Credit, il Fondo selettivo, e il Fondo automatico ai progetti che rispettano certi criteri (culturali, linguistici, artistici) e che possono ricevere fino al 40% del budget in rimborsi fiscali. Poi ci sono i bandi regionali, europei (Eurimages), e gli incentivi legati ai festival. Molti film si ripagano già in fase di produzione, senza dover puntare su incassi reali.
Per farla breve, il cinema italiano non si regge sul pubblico. Si regge sul sistema. E finché il sistema tiene, si producono film. Anche se nessuno li vede.
Detto questo noi siamo corsi sulle piattaforme dove, grazie al cielo, abbiamo recuperato “Familia” (Prime Video) e “Gloria!” (AppleTv) entrambi bellissimi. Ma insomma, cosa deve fare un buon cinefilo per campare? Passare le giornate a compulsare Trovacinema, sorvegliare il multisala sotto casa, farsi amico l’esercente per ottenere il calendario delle uscite in anteprima? Oppure accettare l’umiliazione annuale dei David di Donatello, che premiano sempre e comunque proprio quel film che ci siamo lasciati scappare. E che, diciamocelo, probabilmente non vedremo mai più.
Quest'anno, ai David di Donatello è andata così:
Vermiglio di Maura Delpero: 7 premi
Miglior film
Miglior regia
Miglior sceneggiatura originale
Miglior fotografia (Mikhail Krichman)
Miglior produttore
Miglior suono
Miglior casting
L'arte della Gioia di Valeria Golino: 3 premi
Miglior sceneggiatura non originale
Miglior attrice protagonista (Tecla Insolia)
Miglior attrice non protagonista (Valeria Bruni Tedeschi)
Gloria! di Margherita Vicario: 3 premi
Miglior regista esordiente
Miglior colonna sonora (Vicario & Pavanello)
Miglior canzone originale (“Aria!”)
Berlinguer La grande ambizione di Andrea Segre: 2 premi
Miglior attore protagonista (Elio Germano)
Miglior montaggio
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